LA SVOLTA ELETTRICA
di Antonio Cillis
TRIBAL TECH
Già. Stiamo parlando della più grande fusion-rock band del pianeta. Il gruppo, i fondatori del quale sono il chitarrista Scott Henderson ed il bassista Gary Willis (non necessariamente in quest’ordine di importanza, sia ben chiaro…), nasce nei primi anni ’80. Da subito si capisce che non c’è una definizione ben precisa per il genere musicale che pervora la band. Fin dall’origine, infatti, si spazia tra rock, blues, fusion, con tanta energia ed un carattere praticamente unico.Non si può non notare la forza e la…come dire?...prepotenza con la quale viene dominato il singolo strumento. Se poi, ai due leaders, aggiungiamo un tumultuoso Kirk Covington alla batteria ed un geniale ma risoluto ed essenziale Scott Kinsey alle tastiere vediamo come non è possibile, per chiunque volesse fare una classifica delle maggiori band, prescindere dai Tribal Tech. Il gruppo produce vari album, dieci per la precisione, tra il 1985 e l’avvento del nuovo secolo, quando si scioglie ed ogni componente, chi con più fortuna e chi con meno, decide di intraprendere la carriera solista. Ricordo di averli ascoltati tutti nella mia vita, di essermi impregnato di quelle melodie talmente invase dall’omogeneità delle linee di basso e dai riffs di chitarra, delle sensazioni che provavo quando ascoltavo in autunno “Carribean” o la nostalgia di “Seek and Find”, spaziando tra l’aggressiva “Face First” e la memorabile “Canine”, tra la lussuosa “Nite Club” e la tenebrosa “Premonition”, fino al salto finale, all’approdo alla spaziale “Space Camel” di Rocket Science. Il pezzo del link è Self Defence, dell’album Nomad. Nel video si ascoltano i giovani Gary e Scott che viaggiano all’unisono, fondono tra di loro bassi ed alti, ruvidi e morbidi suoni che trovano spazio nell’ampia e variegata galassia della musica. Il tema centrale domina fino al minuto e mezzo, per poi dare largo campo allo spavaldo e poco più che trentenne Gary Willis che esprime il proprio estro con un lungo ed indimenticabile assolo. Riprende il tema del brano ed a questo punto l’ascoltatore si aspetta un solo di chitarra. In realtà resta ben poco a Scott il quale, padroneggiando lo strumento come nessuno oserebbe mai, riempie il tutto chiudendo con i suoi inconfondibili timbri che risolvono su note e pensieri di ogni luogo e di ogni tempo, lasciando indelebile il ricordo di quella sensazione.
TRIBAL TECH
Già. Stiamo parlando della più grande fusion-rock band del pianeta. Il gruppo, i fondatori del quale sono il chitarrista Scott Henderson ed il bassista Gary Willis (non necessariamente in quest’ordine di importanza, sia ben chiaro…), nasce nei primi anni ’80. Da subito si capisce che non c’è una definizione ben precisa per il genere musicale che pervora la band. Fin dall’origine, infatti, si spazia tra rock, blues, fusion, con tanta energia ed un carattere praticamente unico.Non si può non notare la forza e la…come dire?...prepotenza con la quale viene dominato il singolo strumento. Se poi, ai due leaders, aggiungiamo un tumultuoso Kirk Covington alla batteria ed un geniale ma risoluto ed essenziale Scott Kinsey alle tastiere vediamo come non è possibile, per chiunque volesse fare una classifica delle maggiori band, prescindere dai Tribal Tech. Il gruppo produce vari album, dieci per la precisione, tra il 1985 e l’avvento del nuovo secolo, quando si scioglie ed ogni componente, chi con più fortuna e chi con meno, decide di intraprendere la carriera solista. Ricordo di averli ascoltati tutti nella mia vita, di essermi impregnato di quelle melodie talmente invase dall’omogeneità delle linee di basso e dai riffs di chitarra, delle sensazioni che provavo quando ascoltavo in autunno “Carribean” o la nostalgia di “Seek and Find”, spaziando tra l’aggressiva “Face First” e la memorabile “Canine”, tra la lussuosa “Nite Club” e la tenebrosa “Premonition”, fino al salto finale, all’approdo alla spaziale “Space Camel” di Rocket Science. Il pezzo del link è Self Defence, dell’album Nomad. Nel video si ascoltano i giovani Gary e Scott che viaggiano all’unisono, fondono tra di loro bassi ed alti, ruvidi e morbidi suoni che trovano spazio nell’ampia e variegata galassia della musica. Il tema centrale domina fino al minuto e mezzo, per poi dare largo campo allo spavaldo e poco più che trentenne Gary Willis che esprime il proprio estro con un lungo ed indimenticabile assolo. Riprende il tema del brano ed a questo punto l’ascoltatore si aspetta un solo di chitarra. In realtà resta ben poco a Scott il quale, padroneggiando lo strumento come nessuno oserebbe mai, riempie il tutto chiudendo con i suoi inconfondibili timbri che risolvono su note e pensieri di ogni luogo e di ogni tempo, lasciando indelebile il ricordo di quella sensazione.

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